La cattiva abitudine by Alana S. Portero

La cattiva abitudine by Alana S. Portero

autore:Alana S. Portero [S. Portero, Alana]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2024-02-16T12:00:00+00:00


Notturno

Sono arrivata puntuale all’appuntamento al terreno dei cinque angoli, indossavo un vestito impalpabile molto attillato e avevo le ali spiegate solo a metà come si conveniva a quell’ora, quando le sfere ancora non cantano ma si lasciano intravedere. Era la mia prima luna gibbosa calante in Leone, il sesto incontro con altre creature del bosco nell’estate di Antares. I tacchi di ossidiana mi facevano un po’ male perché non ero abituata a portarli, ma appena ho disteso le ali alleggerendo il carico sui piedi il disagio è scomparso, e li ho potuti sfoggiare con la leggerezza che ci si aspettava da me.

Presto lo spazio si è riempito e le entità hanno preso a unirsi, ali con corna, spine dorsali con unghie fesse, pelli di fuoco con strati di muschio. Poi la regina gobba è apparsa versandoci la propria luce in bocca e noi, com’era previsto, le abbiamo ceduto la nostra anima immortale per dare inizio alle danze. Un sapore quasi amaro mi si è diffuso sulla lingua e d’un tratto intorno a me c’erano solo corpi che si risvegliavano alla follia della luna, alla musica delle sfere, al dolore, al piacere e a ognuno dei passi che ci legavano gli uni agli altri. Volevo avvicinarmi al vuoto per guardare in faccia la grande maga senza restare cieca, ma le correnti interne della danza al ritmo del sistro del mattino e i giochi tettonici delle carni mi spingevano da una parte all’altra senza che la mia volontà potesse realmente intervenire. Anche solo per intravedere colei che muove ogni cosa era necessario partecipare a quella danza per vite intere; così ho desistito, ho ripiegato le ali ed ecco di nuovo quel dolore d’ossidiana. Mi sono abbandonata alle sferzate di un drago che quella sera aveva sentito odore di carne fresca, perdendomi nel rituale finché una scossa non mi ha strappata via da lui. Una voce dietro di me, quella di un uomo che mi aveva posato una mano sulla spalla destra, mi ha chiesto se stavo bene. Mi sono lentamente sottratta alla nostra unione, e voltandomi l’ho baciato piano, a lungo, con la cadenza dell’abbandono e la stanca passione della gratitudine: sapeva di drago. L’ho baciato senza dire nulla, senza nemmeno toccarlo. Poi sono uscita da quella calda oscurità, verso la zona più illuminata del locale. Morivo di sete, non sapevo se cercare un bagno per bere dell’acqua, o un’uscita. Sono rimasta per un attimo in piedi al centro di quello spazio, un po’ meno affollato di quello che mi ero lasciata alle spalle, atterrando in un fango freddo che lasciava presagire una pessima alba. Indicandomi il polso con le dita ho chiesto l’ora a un androgino e tristissimo dio Ermes che abbracciava con tutto il corpo una cassa dalla quale uscivano le note di Better Things dei Massive Attack. Lui mi ha guardata negli occhi senza dirmi nulla, si limitava a muovere la testa molto lentamente, cercando invano di seguire la canzone, come ne stesse ascoltando un’altra fra sé. La sua



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